Uno dei principali problemi che affliggono le associazioni sportive è rappresentato dalla predisposizione delle misure necessarie al fine di evitare che i propri soci possano procurare a loro stessi.

Come noto a tutti coloro che si dedicano all’associazionismo sportivo le associazioni devono fronteggiare da un lato il problema della mancanza spesso di risorse sufficienti a rendere completamente sicuri i locali destinati agli allenamenti, dall’altro il fatto che tale difficoltà sicuramente non rappresenti una causa di esclusione di responsabilità dell’associazione.

Ciò premesso è necessario che tutti gli operatori del settore si domandino quali sono i limiti per definire la responsabilità associativa in caso di socio che procuri danno a se stesso.

Naturalmente minore sarà l’età degli allievi e maggiori dovranno essere le cautele e le precauzioni assunte dall’associazione.

Facciamo un esempio: immaginiamo che un allievo di 6 anni si rompa un braccio inciampando su un attrezzo appoggiato sul pavimento invece che nell’apposito ripostiglio.

Va innanzitutto premesso che ai casi di danno autoprocurato non si applica la disciplina dettata dall’art. 2047 c.c., concernente il “Danno cagionato dall’incapace” (disposizione che prevede, nel comma 1, che: “In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto.”). Secondo la giurisprudenza infatti detta presunzione è stabilita nei confronti di coloro che sono tenuti alla sorveglianza degli incapaci i quali cagionino danni, e non trova pertanto applicazione nell’ipotesi inversa di incapaci i quali siano i soggetti passivi dell’evento di danno .

In linea con l’insegnamento della Suprema Corte di Cassazione espresso anche dalle SSUU (cfr. 9346/2002), in caso di sinistro autoprocuratosi dal socio nei locali gestiti dall’associazione (o delle sue pertinenze), la responsabilità dell’associazione va letta in chiave contrattuale. L’accoglimento della domanda di iscrizione e la conseguente ammissione del socio nella struttura gestita dall’associazione determinano l’instaurazione di un vincolo negoziale, da cui sorge in capo agli incaricati dall’associazione un’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e sulla incolumità del socio nel tempo in cui questi fruisce della prestazione associativa, anche al fine di evitare che il socio procuri danno a se stesso (cfr. Cass. 3680/2011 e Cass. 22752/2013).  Tra insegnante e socio si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona.

La qualificazione giuridica in termini contrattuali della responsabilità dell’insegnante implica, in punto di onere probatorio, che il danneggiato debba esclusivamente dimostrare che il danno si è verificato nello svolgimento del rapporto mentre sull’associazione grava, ex art. 1218 c.c., l’onere di provare che l’evento dannoso è stato determinato da causa a lei non imputabile: la prova, pertanto, che incombe sulla associazione si incentra nella dimostrazione di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno e che questo, ciò nonostante, si è verificato per una causa non prevedibile né superabile con la diligenza adeguata alle circostanze del caso concreto.

Dal punto di vista legale il problema è proprio il dimostrare che un evento non è né prevedibile né superabile. Ritornando al nostro esempio da un lato si potrebbe affermare che l’associazione è responsabile in quanto è evidente che appoggiare un attrezzo sul pavimento può determinare la caduta di un allievo che cammina su un pavimento sul quale non dovrebbe esserci alcun attrezzo. Dall’altro si potrebbe replicare che la persona incaricata dall’associazione di gestire la palestra non può prevedere né impedire che qualcuno possa appoggiare, nemmeno temporaneamente, un attrezzo in un posto non consono e che è chiaro che basta lasciare un attrezzo sul pavimento per 20 secondi per far magari cadere un socio che sta passando in quel momento. Questo esempio, nella sua semplicità, evidenzia come anche episodi veramente banali all’interno di una struttura sportiva possono determinare responsabilità per l’associazione.

Alle associazioni non rimane quindi che fare tutto il possibile per rendere sicuri i locali in cui operano con la consapevolezza però che le variabili che possono determinare che un socio causi danno a sè stesso sono infinite e prevederle e/o prevenirle tutte è praticamente impossibile.

Da qui la necessità di una assicurazione che copra ogni rischio.